Quando di parla di Giappone e dei suoi dolci, vengono subito in mente i mochi (le palline di riso glutammoso farcite con anko, la tipica marmellata di fagioli rossi, o gelato a vari gusti) o i dorayaki (il pan di spagna giapponese farcito sempre con anko) perché siamo abituati mangiarli al ristorante. Si tratta di dolci giapponesi tipici e unici nel loro genere, che fanno parte della grande famiglia dei wagashi, letteralmente “dolce giapponese”, che però non esaurisce l’universo dolciario del Sol Levante. Il termine wagashi venne, infatti, creato soltanto durante il periodo Meiji (1868-1912), quando il Giappone si aprì di nuovo al mondo dopo i duecento anno di chiusura, ed entrò in contatto con alcune tradizioni occidentali, compresa quella gastronomica. In quel periodo nacque la necessità di distinguere i dolci tipici giapponesi, wagashi, da quelli arrivati invece dall’Occidente, che vennero invece chiamati yōgashi, letteralmente dolci occidentali.
In Occidente tra gli wagashi più famosi ci sono quelli utilizzati durante la cerimonia del tè, i nerikiri, famosi per il loro design e per l’armonia dei loro colori che interpretano il susseguirsi delle stagioni. Se volessimo semplificare al massimo e trovare per forza dei paragoni, potremmo dire che i nerikiri ricordano i nostri dolci di marzapane anche se alla base della loro preparazione c’è l’utilizzo di fagioli di soia bianchi, chiamati shiroan, per la creazione di un denso impasto.
La famiglia dei dolci in stile wagashi è in verità molto vasta e comprende preparazioni di vari tipi. Tra i classici c’è sicuramente lo yōkan, un dolce composto da pasta di fagioli rossi, agar agar e zucchero. Lo yōkan è famoso per la sua elegante consistenza gelatinosa e la sua forma rettangolare: viene infatti tagliato e venduto a tocchetti. Si tratta di un dolce di lunga durata e che i giapponesi usano fare come regalo o portare in viaggio.
I dolci giapponesi si contraddistinguono, in generale, per l’utilizzo di alcuni ingredienti tipici che hanno alla base elementi vegetali come castagne, riso e cereali, zucca e l’immancabile fagiolo azuki. La marmellata che si ottiene da questa materia prima, chiamata anko, è di colore rosso intenso, tendente al bruno, e proprio questa gradazione ha fatto sì che ai fagioli azuki cioè i “fagioli rossi”, fossero associate proprietà divinatorie. Altro ingrediente tipico delle preparazioni dolciarie nipponiche è il kanten (agar agar), un coagulante naturale che dona l’aspetto gelatinoso ai wagashi, soprattutto a quelli estivi. In origine i dolci giapponesi venivano ricavati dalla lavorazione dei frutti, e per questo il loro legame con le stagioni è tutt’ora molto forte. Lo zucchero, infatti, fece il suo ingresso in Giappone solo a metà del 1500, anche se oggi è prodotto in molte regioni, per esempio nello Shikoku ma anche a Okinawa. Tra le tipologie di zucchero locali più utilizzate ci sono dunque lo shirozaratō, lo zucchero bianco, caratterizzato da grandi cristalli di zucchero che dona ai dolci giapponesi un sapore leggero e raffinato oppure il kurozatō, lo zucchero nero, quello non raffinato, dal colore bruno e dal gusto più intenso.